La pulizia delle parole
Prendo un pensiero da un saggio che George Orwell ha scritto nel 1946, “La politica e la lingua inglese”. Eccolo:
Uno scrittore leale in ogni frase che scrive si farà perlomeno quattro domande. Queste:
- Che cosa sto cercando di dire?
- Con quali parole lo esprimerò?
- Quale immagine o modo di dire lo renderà più chiaro?
- Questa immagine è abbastanza fresca da avere un qualche effetto?
E probabilmente se ne porrà altre due:
- Potrei dirlo più brevemente?
- Ho scritto qualcosa di bruttezza non necessaria?
Orwell parla di essere “leale” perché sa che un linguaggio preciso e chiaro è un linguaggio anche onesto. Un linguaggio asciutto, concreto, che va dritto al punto è un linguaggio che si presta naturalmente ad esprimere la verità delle cose. Così come, al contrario, un linguaggio astratto, retorico, complicato è uno strumento ideale per una comunicazione fuorviante, manipolatoria, o autoritaria.
Trovo che questa riflessione sul linguaggio possa essere perfettamente utilizzata anche nel campo della comunicazione aziendale.
Quando stai preparando un discorso per una presentazione importante davanti ai tuoi clienti; quando vuoi comunicare i tuoi prodotti attraverso il sito aziendale; quando crei la comunicazione interna per spiegare ai tuoi manager le nuove strategie aziendali… ti consiglio di farti le stesse domande che Orwell si pone. Tenendo d’occhio la pulizia e la concretezza di ciò che comunichi: perché questo aiuterà te a capire che cosa stai dicendo e aiuterà gli altri a capirti più facilmente.
Rivediamo queste domande, una alla volta:
1. Che cosa sto cercando di dire?
Che cos’è che serve davvero a esprimere quello che hai da dire? Tutto quello che non serve direttamente a esprimere ciò che vuoi dire, toglilo. Tutto ciò che non serve al pubblico per capire ciò che vuoi dire, toglilo. Anche se ti piace, anche se ti farebbe fare “bella figura”, anche se ti sembra che renda più “importante” quello che dici. Toglilo.
2. Con quali parole lo esprimerò?
Quali sono le parole migliori per comunicare alle persone che ho davanti? Come posso pulire il mio linguaggio in modo che i concetti che mi stanno a cuore arrivino chiari e puliti, nitidi e concreti? Elimina il gergo di settore non indispensabile, gli inglesismi inutili che servono a darti importanza, i concetti e le espressioni oscure che servono solo a te. Non a quelli che ti ascoltano. Pensa a loro quando scrivi e quando parli.
3. Quale immagine o modo di dire lo renderà più chiaro?
Le immagini fanno prendere vita alle cose di cui parli. Se usi una metafora, un’analogia, un simbolo, quello che dici acquista più sapore, colore, odore. E avrà un impatto più forte. Ancora una volta: usa immagini al servizio della comprensibilità e della chiarezza; non al servizio della “celebrazione”, della retorica, della manipolazione.
4. Questa immagine è abbastanza fresca da avere un qualche effetto?
“Scendere in campo” non è un’immagine fresca (consumata dall’uso di politici e giornalisti da troppi anni). “Squadra che vince non si cambia” non è un’immagine fresca. “Obiettivi sfidanti” è un modo di dire che fa cascare le braccia da quante volte lo abbiamo sentito.
Non essere pigro, non abbandonarti agli automatismi del linguaggio che senti. Cerca qualcosa di interessante. Sviluppa orecchio per ciò che è fresco e ciò che è “avariato” dal troppo uso. Il tuo modo di esprimerti, agli occhi e alle orecchie degli altri, è il tuo modo di essere. Curalo.
5. Potrei dirlo più brevemente?
Prendi la tua comunicazione, il testo che hai preparato, e accorcialo del 30%. Quello che resta sarà più forte. Più sintetico e focalizzato. E si ricorderà di più. Se nel tuo contenuto c’è un’idea forte, salterà fuori con più evidenza. Se c’è un punto di vista interessante si vedrà subito. Al contrario, se lo anneghi in troppe parole chi ti ascolta o ti legge farà fatica a vederlo. E farà fatica a ricordarlo.
6. Ho scritto qualcosa di bruttezza non necessaria?
Non è solo un fatto estetico: ma di chiarezza di comunicazione. Nota come parole, concetti, frasi che sono esteticamente brutti, quasi sempre sono anche poco chiari. Si fa più fatica a capirli e a seguirli. Espressioni ineleganti, “brutte”, confuse, faticose, generano pensieri confusi e faticosi. Per questo la bruttezza è nemica della chiarezza e della comunicazione efficace. Pensa questo: se scrivi o dici una cosa “brutta”, l’altro (che ti sta dando la sua attenzione e il suo tempo) farà fatica a capirti, quindi stai mancando di rispetto a chi hai di fronte.
Conclusione. In mezzo a tanta comunicazione manipolatoria, tipica del marketing e della pubblicità del “secolo scorso”, in mezzo a tanta retorica del linguaggio aziendale, in mezzo ai gerghi tecnici che spesso oscurano e nascondono anziché spiegare e chiarire, ti consiglio di fare una cosa diversa: vai nella direzione opposta. Cioè allenati a pensare, a parlare, a scrivere in modo concreto e chiaro. E allena le persone dedicate a creare la comunicazione della tua azienda a fare altrettanto.
Sbaraglia i tuoi concorrenti su un terreno in cui avranno paura a seguirti: l’onestà. L’onestà del linguaggio, l’onestà delle parole. L’onestà delle storie che racconti di te.
E’ questo che genera il tuo carisma. La tua levatura personale. Il peso specifico di quello che dici. E’ questa la via per “aprirsi un varco” nel rumore assordante della comunicazione in cui oggi siamo immersi. Per arrivare finalmente agli altri, che muoiono dalla voglia di ascoltare qualcuno che si esprime in questo modo.