Comunicazione Autentica

Gli esseri umani amano comunicare in modo “umano”

Era il 1999 quanto il “Cluetrain Manifesto” fece irruzione sulla scena per diventare la guida ideale della comunicazione d’impresa per le aziende che, in quel momento, iniziavano a fare i conti con un nuovo mercato interconnesso a livello globale dalla rete internet. Riporto qui alcune tesi del Manifesto parafrasandole per esigenze di sintesi:

I mercati sono conversazioni. I mercati sono fatti da esseri umani, non da “settori demografici”.   Le conversazioni fra esseri umani “suonano” umane. Perché sono condotte con voce umana. E la voce umana, qualunque sia il contenuto, è aperta, naturale, non artificiale.  

Le aziende non parlano con questo tipo di voce. Per il pubblico che ascolta, le aziende parlano normalmente un linguaggio vuoto, piatto, letteralmente inumano. Le aziende dovrebbero prendersi un po’ meno sul serio e smettere di usare un linguaggio che è distante, arrogante, non attraente.

Hanno bisogno di un po’ di senso dell’umorismo, che non significa mettere barzellette sul loro sito web. Significa avere umiltà, valori autentici, uno stile diretto nel parlare e un punto di vista genuino sulle cose. Le aziende devono uscire dallo loro Torre d’Avorio per parlare davvero alle persone con le quali sperano di creare una relazione (se t’interessa il Manifesto, ancora incredibilmente attuale, lo trovi qui)

La domanda è: come mai, a distanza di quasi vent’anni da queste affermazioni sacrosante, così tante aziende fanno ancora così fatica a “trovare una voce umana” per relazionarsi con il pubblico che sperano di raggiungere?

Il problema, secondo me, non ha a che fare con la “tecnica” di comunicazione ma con quello che c’è a monte: cioè l’atteggiamento mentale di chi sta in azienda. Il tema non è come si parla, ma come “si pensa” la relazione con gli altri.

Ecco tre punti di attenzione, per manager e imprenditori, su cui vale la pena riflettere. Sono tre nemici mortali della comunicazione “umana” (cioè efficace):

  1. L’egocentrismo 
  2. La superbia
  3. La pigrizia

1. L’egocentrismo

Ovvero parlo solo di me. Nella mia comunicazione, sul mio sito, nelle mie brochures, nelle riunioni di business, nelle presentazioni alla stampa, parlo sempre di me. E quasi mai di te, caro cliente presente o futuro. Sono davvero innamorato di me, della mia azienda, dei miei prodotti, del mio successo. Solo alla fine (di una pagina web, di una brochure, di uno speech) magari butto lì due frasi su di te, sui tuoi bisogni, magari faccio una domanda aperta, perché mi hanno spiegato che “mostrarsi in ascolto” è molto trendy. Ma la gente ha già capito che fai finta… La gente è sempre più sveglia, ormai.

2. La superbia

Un sentimento che spinge l’azienda a guardare il mondo dall’alto in basso. Perché io sono “grande e famoso” e tu, mio futuro cliente, sei piccolo e sconosciuto. E quindi devi ascoltarmi. E’ l’atteggiamento di chi pensa di avere la verità in tasca. E te lo fa pesare. “Tirarsela” fa parte della cultura  aziendale? Peccato per te: sempre meno gente è attratta da aziende così, da brand così, da manager così. Tirarsela è un atteggiamento vecchio e da gente insicura. Non te n’eri ancora accorto?

3. La pigrizia

Derivato della superbia. Se ho la verità in tasca penso di avere già tutte le risposte. E quindi non mi sforzo di capire davvero il mercato, cioè di osservare la gente vera che c’è la fuori, i suoi bisogni, le sue ansie, cos’è che li fa sognare e cosa li tiene svegli la notte. Fare ricerca, osservare, ascoltare i feedback che i clienti ti danno (sia online che offline): tutto questo non è “una seccatura”, ma un atteggiamento umile che genera aziende capaci di relazionarsi davvero con il loro pubblico. E quindi di produrre una comunicazione significativa e interessante.

Tutte le aziende, periodicamente, scivolano su uno di questi atteggiamenti (alcune su tutti e tre insieme). Ma si può imparare anche un’attitudine diversa.

La comunicazione “umana”, che sa risuonare davvero con chi ti legge o ti scolta, nasce quando l’azienda si mette finalmente sullo stesso piano dell’interlocutore: e quindi un po’ parla e un po’ ascolta. E dimostra così un sincero interesse verso chi ha di fronte. Proprio come una buona conversazione fra due persone, una sera a cena. Che finisce con la voglia di rivedersi, alla prossima cena.

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